DI GENERE IN GENERE STORIA di UN CONCETTO di Serena Noceti

1.  I'emergere  di una categoria

Il documento della Congregazione per la dottrina della fede del maggio del 2004 dedicato alla collaborazione dell'uomo e della donna nella chiesa e nel mondo si apre con una valutazione critica di quelle ten­denze culturali che propongono di cancellare le differenze sessuali consi­ derandole come semplici effetti di un condizionamento storico-culturale e con una presa di posizione estremamente critica sul ricorso alla catego­ ria di "genere", che riprende giudizi già espressi nel 1995, in occasione della IV Conferenza mondiale delle donne a Pechino, dalla delegata della Santa Sede Mary Ano Glendon. 
Come porsi davanti alla categoria di "gender" oggi così diffusa negli studi di sociologia, antropologia culturale, filosofia? Cosa pensare di un lemma a cui vengono ascritti molteplici significati e che viene utilizzato in sistemi concettuali molto diversi gli uni dagli altri, anche se "apparentati" per una comune appartenenza al vasto e composito fiume del "pensiero femminista"? Anche nel campo degli studi teologici è diventato oggi essenziale interrogarsi sulla portata euristica del gender  e sulla sua pertinenza nell'ambito della riflessione cristiana; le affermazioni magisteriali stesse attestano l'urgenza di una riflessione sistematica in questa direzio ne. La via della ricostruzione "genetica" delle interpretazioni e delle attri­ buzioni di significato, che si sono succedute in questi ultimi 30 anni, può costituire un primo approccio in grado di permettere un giudizio e una valutazione più serena delle diverse posizioni e dei differenti ricorsi alla categoria e al concetto; la delimitazione delle caratteristiche proprie di. questa categoria analitico-critica può invece aiutare a individuare le, domande aperte sottese al concetto e i possibili modelli di declinazione della/e differenza/e nel pensiero antropologico, fino a quei recenti percorsi di ricerca che chiedono di andare oltre il genere "attraversandolo"' e decostruendolo.
Una disamina, pur rapida, dei fattori che hanno portato all'emergere storico della categoria, delle caratteristiche che vengono riconosciute  e ascritte, delle domande che essa consegna con il suo apparire permette di cogliere la fluidità del concetto e di individuarne i differenti usi  senza appiattirsi in una condanna generica di alcune posizioni e senza lim'itarsi a  una demonizzazione a priori del termine. Determinante è, infatti, il model­lo interpretativo complessivo dell'identità umana e delle relazioni (anche istituzionalizzate) che viene adottato e nel quale viene recepito e utilizza­ to il concetto di gender: su questo specifico versante va posto il giudizio ed esercitata l'intelligenza critica. Si tratta di dibattere, in dialogo con pensieri altri rispetto a quello teologico, il quadro teorico complessivo in cui "genere" è designato e che "genere" contribuisce a determinare.

1.1.    Tra termine e concetto

Il concetto di "gender" fa la sua apparizione nel pensiero femmini­sta di lingua inglese alla metà degli anni '70, mutuato dalla filosofia e dalla retorica, in un contributo di Ann Oakley e in un ampio saggio di Gayle Rubin,  che offrivano una prima formalizzazione  sistematica. Ilricorso alla categoria è frutto degli studi di alcune scienziate sociali sta­ tunitensi e inglesi sulla base di una ripresa critica della domanda sulla differenza tra i sessi e la presa d'atto da parte delle scienze sociali (sociologia, antropologia, economia) del fatto che le differenze uomo/donna sono sostenute da molte istituzioni sociali e vanno riportate a uno squi­librio di poteri. Fin dall'inizio i primi lavori che assumevano come chia­ ve di volta il concetto di genere esortavano a superare una visione biologica delle differenze di comportamento tra sessi per aprirsi a un pen­siero della differenza prima di tutto socialmente e culturalmente defini­bile. All'interno degli studi sulla differenza sessuale si inizia, infatti, a interrogarsi sulla modalità di relazione tra uomini-donne e sul senso ulti­ moda riconoscere ai processi di differenziazione, e non solo alle diffe­renze stabilite e date, o ai contenuti in cui la differenza si cristallizza. Il concetto di "genere" viene a sostituire l'idea, tipica della seconda fase del femminismo, dei "ruoli sociali", nella consapevolezza di rischi di staticità e di determinismo dati dal termine "ruolo" e nella coscienza del rischio di teorizzare una ripartizione dei ruoli necessaria nella società sulla base di modelli di complementarità.
Già i primi saggi pubblicati mostravano l'importanza di distinguere il  concetto "gender/genere" dal termine che lo esprime e premettevano, in particolare nel contesto delle lingue neolatine, alcune precisazioni di carattere terminologico. L'inglese gender rimanda (immediatamente ed esclusivamente) alla derivazione grammaticale, cioè alla specifica distin­zione di classi di nomi che ricalcano il sesso, mentre le lingue neolatine rinviano direttamente al latino genus (genere umano): la parola italiana "genere", il genre francese o género in spagnolo indicano non solo il sesso, ma anche la specie, rischiando di per sé un rimando immediato alla natu­ra e la conseguente ri-naturalizzazione del concetto. L'uso del lemma ita­liano "genere" è ormai consolidato nella forma concettuale inscritta nel­l'inglese gender, ma è sempre opportuno ricordare che il primo non rap­presenta una traduzione fedele dell'inglese. Questo fatto spiega forse le resistenze di cui è stato oggetto nelle lingue neolatine e della fatica di determinare i criteri d'uso di un termine che si percepisce polisemico e fluttuante.

1.2. Il funzionamento  di una categoria

Per la sua stessa natura, il ricorso al concetto e alla categoria di genere orienta la ricerca  e favorisce un  approfondimento  del pensiero femmi­nista  sul piano sociale e culturale; al centro non è più il pensiero  della e sulla  "differenza", pensata  prima  di tutto  sul piano  biologico-essenziali­sta, che finisce per porre la domanda  sulla maschilità  e femminilità  in sé pensate  come omogenee in se stesse in rapporto a un umano  di-morfico  mostrato  come  solo  apparentemente  universale  o  neutro,  con  un esito evidente  di naturalizzazione  delle differenze.  L'assunzione  della categoria gender chiede di complessificare  il pensare la persona  e di allargare là ricerca  antropologica  immediatamente  al  campo  sociale, senza  escluderè di per sé il biologico: la determinazione  del concetto di gender non avvie­ ne in sé, ma nella  relazione  (per alcuni contrappositiva, per  altri ca-defi­nente)  con un altro termine, "sex". Non  basta  quindi dare una definizione del concetto; vanno indicate le coordinate in cui il concetto si comprende e va definita la costellazione semantica in cui è dato. In prima istanza,"': facendo ricorso a una comprensione divenuta comune, con una definizione "provvisoria", si può parlare di "sex" per indicare gli elementi dati dal corredo biologico dell'individuo (le caratteristiche  fisiche, anatomiche, morfologiche di uomo e donna) e di "gender" come categoria con la quale si esprime il significato socio-culturale (e quindi anche religioso) attribui­to all'appartenenza a un sesso (sex). "Gender" indica quindi in prima bat­tuta l'insieme di attributi/caratteristiche psicoattitudinali e di comporta­ menti (nonché ruoli e funzioni) che si ritengono adeguati per uomini e donne quali esseri sociali.
Con il concetto di genere si identifica perciò da un lato il carattere socialmente costruito - simbolicamente mediato e ritualmente sostenuto - delle differenze tra uomini e donne (dal momento che la percezione del corredo biologico è plasmata socialmente e ogni differenza di sex sul piano biologico viene sempre espressa come differenza di gender ), dal­ l'altro il fatto che il maschile e il femminile si costruiscono reciprocamente intrecciandosi in un ordine, in un sistema di relazioni , conflitti, accomodamenti reciproci, in cooperazioni conflittuali. Il concetto di gender mostra quindi che la domanda sull'identità si colloca al crocevia tra "natura" e "cultura". 
Nel percorso interpretativo della persona umana il genere è colto e definito in rapporto diretto al substrato sociale che determina in sé i significati specifici di sex/gender e la relazione tra i dne; già G. Rubin delinea­ va le condizioni e le implicazioni del "systemsex-gender" e descriveva tale sistema come «insieme dei dispositivi e dei processi mediante i quali una società trasforma la sessualità biologica in prodotti dell'attività umana e organizza la divisione del lavoro tra uomini e donne, differenziandoli l'uno dall'altra». Con "sex gender system" si indicano quindi le tipologie di relazione uomo-donna che sono presenti nel contesto sociale, il modo in cui questi tipi di rapporto vengono costruiti, trasmessi, mantenuti, il modo in cui impregnano le strutture sociali, i rituali, le pratiche di vita di una società o di una cultura.
 

 

2.1.   La forza  del genere

 
Alcuni tratti caratteristici motivano la forza di questa categoria ana­litico-critica e ne segnano le virtualità. Attraverso il concetto di gender si prende in considerazione non più la sola differenza e l'ascrizione dell'individuo a uno dei due gruppi di esseri umani che si distinguono per alcu­ne caratteristiche fisiche riconducibili a due tipi base di patrimonio gene­tico e a due diverse conformazioni dei loro organi sessuali, ma si pone attenzione alle relazioni, alle strutture, ai sistemi sociali. Il genere si inter­roga sulle relazioni sociali all'interno delle quali si collocano gli individui ed esprime il carattere sociale, sistematico, variabile delle relazioni tra sessi, come anche il loro incardinamento in strutture simboliche e ideolo­giche. Esso mostra i modi in cui i rapporti tra uomini e donne si sondi costituiti, impregnando istituzioni, pratiche di vita, rituali e ogni aspetto della vita sociale. Esso permette di cogliere e di comprendere, come scrive P. Bourdieu;                                                                                    ·

Le ingiunzioni continue, silenziose e invisibili che il mondo sessual­mente gerarchizzato in cui le donne sono inserite rivolge loro, preparano le donne ad accettare come evidenti, naturali e scontate pre­scrizioni e proscrizioni arbitrarie che, inscritte nell'ordine delle cose, si imprimono insensibilmente nell'ordine dei corpi.

 

Chiamare in causa il "gender" è acquisire un elemento comparativo essenziale per l'analisi della soggettualità, che permette di capire l'iden­tità come dato culturalmente determinato e definibile solo "specularmente" e "relativamente" per "l'uomo/maschio" e "l'uomo/femmina". Utilizzare la categoria di genere è asserire che non si possono studiare le donne senza studiare contemporaneamente gli uomini e viceversa; si evidenzia così un aspetto sociale, culturale e relazionale tra due gruppi di attori sociali, sempre posti l'uno di fronte all'altro, mai l'uno senza l'altro. L'antropologia e la sociologia che ne derivano includono quindi lo studio delle relazioni di potere e di subordinazione tra uomini e donne, dal momento che de facto la storia ci consegna relazioni asimmetriche e gerarchizzate, come anche la denuncia del carattere arbitrario delle differenze tra sessi e generi
La differenza "di genere" può essere colta tenendo presenti i diversi ambiti in cui essa si manifesta, sia ambiti distinti e differenziati di esistenza per uomini e donne, sia anche come ambiti correlati di definizione di identità: strutture di produzione, riproduzione, socializzazione, sessualità, per riprendere J. Mitchell; relazioni di potere, di riproduzione, emotive, simboliche, per raccogliere gli studi di R.W. Connell. Questa metodica permette di cogliere il fatto che non ogni differenza è deducibile dal dua lismo di sesso e favorisce la decostruzione delle categorie binarie, inserite in alcune pratiche sociali e nei processi di costruzione simbolica del legame sociale e della sua istituzionalizzazione. Sviluppare la riflessione assumendo la categoria di genere quale chiave di volta aiuta a svelare i presupposti universalistici che le concezioni naturalistiche portano con sé e a porre la questione della costruzione sociale della divisione sul piano degli ambiti di vita (familiare, lavorativa, politica economica, sociale, religiosa).
Fin dall'inizio la forte interdisciplinarità che contraddistingue i gender studies ha permesso di mostrare il carattere storico e variabile delle attribuzioni di genere, segnalando elementi di discontinuità e di rottura, come anche i processi di creazione del genere. Quando parliamo di genere non stiamo parlando di semplici differenze o di categorie fissate una volte per tutte; stiamo dibattendo di relazioni, di linee di confine, di pratiche di identità, di immagini create in processi sociali e di socializzazione. Il genere chiede di essere studiato in forma dinamica - nel divenire - perché è e si dà in un continuo processo aperto. In questa prospettiva tanto le ricerche sociologiche quanto gli studi storici segnalano in particolare le modalità differenziate di rapporto tra uomini e donne secondo i gruppi sociali, le condizioni di produzione e riproduzione, le fasi storiche attraverso cui una cultura è passata. Per definire le configurazioni di genere vengono perciò studiati i meccanismi di produzione, mantenimento, trasformazione sia delle relazioni di genere, sia dei sistemi/regimi di genere, sia delle strutture di genere, cioè degli ordini simbolici connessi a relazioni e sistemi di genere; anche se si tratta di tre livelli diversi, quanto a soggetti e dinamiche, da tenere perciò ben distinti gli uni dagli altri, essi devono essere compresi nella loro interazione. Nella storia dell'umanità, nelle diverse culture e forme di organizzazione sociale, possiamo rilevare prima di tutto la presenza di un "regime di genere", cioè una precisa organizzazione di genere che regola le divisioni sociali e il loro riconoscimento, che stabilisce come devono esser gestite le relazioni emotive, sia a livello di società intera sia in singole istituzioni. Il "regime di genere" vigente in una certa istituzione corrisponde all'ordine di genere generale della società; solo raramente esso se ne allontana, allorché iniziano processi di trasformazione del corpo sociale complessivo. Con "strutture di genere" si indicano invece i modelli di relazioni sociali durature nel tempo ed estese nello spazio: ci sono pratiche religiose, linguistiche, politiche che collocano l'uomo in uno stato e ascrivono la donna a un altro e che definiscono status e identità specifica degli uni e delle altre. La struttura sociale di genere condiziona le pratiche di genere ma non esiste al di fuori di esse; ruoli, funzioni e poteri sono comprensibili e decodificabili in questa luce. Come scrive Joan Scott:
il genere è un elemento costitutivo dei rapporti sociali fondati sulle differenze percepite tra i sessi e il genere è una modalità primaria di significare i rapporti di potere.
Infine, l'acquisizione di questo strumento categoriale ha permesso e permette alle donne di essere in grado di agire per modificare le condizioni di esistenza e lo spazio sociale complessivo. Chi fa ricorso a gender usa una categoria certamente analitica, critica, conoscitiva, di interpretazione nuova e altra, ma soprattutto coglie l'orientamento politico-trasformativo possibile sul piano dei rapporti diretti e delle strutture. "Genere" è insieme strumento per un'autodefinizione soggettuale (di individuo e di gruppo sociale "donne") e per l'autoprogettazione di una diversa soggettualità individuale e di una differente configurazione del corpo sociale. Usare gender - proprio perché chiede e permette di pensare in modo correlativo uomini e donne - favorisce i processi di empowerment, entitlement, mainstreaming.

 

 

 

 

2.2. Domande  aperte

 

Alcune questioni rimangono aperte e sono oggetto di vivaci dibattiti. In vista di una recezione critica del concetto è utile prendere in considerazione tali interrogativi, per una ricomprensione più puntuale della pertinenza della prospettiva interpretativa che questo nuovo paradigma porta con sè; è lo stesso tentativo di definire il gender nella sua correla zione costitutiva al sex e la fatica di definire caratteristiche e virtualità, come anche i limiti insiti nella concettualizzazione dell'essere uomini/donne in questa prospettiva, che hanno portato al sorgere di alcuni interrogativi, riconducibili a quattro aree.
Il ricorso alla categoria di gender non esclude, come abbiamo visto, la considerazione delle differenze esistenti sul piano naturale, che di per sé non producono ruoli sociali differenti; questi ultimi sono prodotti dalla storia e dall'organizzazione sociale. Queste asserzioni, da molti condivise, chiedono però di specificare meglio le relazioni tra i due termini, sia sul piano della priorità logica (con l'individuazione del termine princeps ), sia su quello della genesi dell'identità personale.
Qual è l'antecedente cronologico e logico? Il sesso si declina dal genere oppure il genere dal sesso?
Le posizioni su questo punto divergono, tra chi ritiene il sex in ogni caso prioritario e chi pensa il gender come modello del sesso;
nel primo caso Si ottiene una teoria della differenza in cui la dimensione sociale del genere è di nuovo ancorata alla biologia e alla natura, con una differenza che fa capo a due forme distinte (dimorfismo );
nel secondo ciò che viene determinato dal sesso non è la natura a dirlo, ma solo la società e le sue strutture. Se i sessi sono categorie insegnate dalla nascita, esse non sono trasmesse come identiche dal punto di vista del prestigio sociale; così pure le aspettative verso noi stessi e quelle degli altri sono differenziate.
Più profondamente la domanda si pone su quale sia il tempo di legame (causale, strutturale, performativo) tra i due termini.
 
A questo primo interrogativo rinvia la serie di domande relative ai processi e alle dinamiche di formazione del genere: attraverso quali strumenti il genere viene dato? Quale ruolo riconoscere ai processi educativi, diretti e indiretti, per l'apprendimento di strutture, ruoli, habitus? Quale spazio riconoscere alle dinamiche linguistiche?
 
E, specularmente alla prima questione, la priorità va riconosciuta al corpo, alle relazioni, alle pratiche, alla cultura?
 
Una terza area problematica si radica nella questione della corporeità. In molti modi, le società fanno riferimento al corpo e chiamano in causa la differenza riproduttiva come elemento primario di riferimento, esiste quindi una «arena nella quale i nostri corpi [sessuati] vengono coinvolti in processi sociali»; in questa prospettiva va però chiarito se il corpo vada considerato come un mezzo passivo o riconosciuto come uno strumento di volontà determinativa e appropriativa di significati. I processi sociali comprendono certamente attività corporee; i corpi sono corpi sessuati e interpretati secondo il genere, hanno capacità di agire e allo stesso tempo sono sempre socialmente costruiti, sono introdotti nel divenire storico e insieme contribuiscono a esso, ma come avviene il processo di attribuzione e riconoscimento dei significati?
 
Tutte e tre le questioni ricordate rimandano più profondamente a una questione-base, che si colloca tra ontologia ed epistemologia, intorno alla quale si differenziano ultimamente le proposte di riflessione femminista sul gender: il duale è originario? O va pensato come originario l'uno?
Se la prima fase del pensiero femminista è partita dalla considerazione dell'umano, come "uno" in rapporto al quale i "due" dovevano ottenere parità e uguaglianza di diritti, il "pensiero della differenza" ha fatto del duale il suo punto di riferimento imprescindibile, per cui pensare il "due" in quanto "due" comporta il pensare l'uno "e" l'altro e passare dall'Io al Tu comporta il passaggio attraverso il "Noi", cioè il riconoscimento della relazione costitutiva; la differenza è interna al Noi ed è simbolizzata dal Tu. La considerazione del gender in questa prospettiva definisce le dinamiche strutturali e simboliche del Noi sociale e istituzionalizzato, della relazione, delle soggettualità dell'uno/a e dell'altra/o. Gli anni '90 vedono, infine, l'emergere di una nuova posizione che pone l'uno dell'individuo come primum indiscutibile nel suo darsi e definirsi. Il rapporto duale/uno è posto a tema e discusso con estremo rigore in particolare negli studi di T. de Lauretis e J. Butler.  Quest'ultima, in particolare, si oppone all'idea della storicità del binarismo di genere, denuncia le norme che producono gerarchizzazione di genere sulla base della presupposizione di una eterosessualità normativa; propone quindi di decostruirne il sistema attraverso il quale l'identità femminile è collegata alla matrice eterosessuale. Assume quindi la categoria di genere per la sua performatività all'interno di un sistema di pensiero di matrice post-strutturalista foucaltiana; il gender produce le identità (individuali) attraverso l'azione, azioni che sovvertono l'identità stessa, infrangono le dicotomie statiche di genere e modificano le norme sociali. La decostruzione dell'idea di identità come "presupposto" si unisce a una riconcettualizzazione dell'identità (del corpo sessuato) come "costruzione culturale personale". È evidente la distanza con le posizioni precedentemente proposte: la categoria "genere" è mantenuta, ma in fondo decostruita e oltrepassata, nel concetto di soggettività (di Io) e di costruzione dell'identità individuale, che, particolarmente nei suoi aspetti sessuali e di sessuazione, può e deve essere il risultato di scelte personali, variabili per ciascuno secondo il contesto.