CEI I DIACONI PERMANENTI NELLA CHIESA IN ITALIA.

ORIENTAMENTI E NORME

I. Il diaconato nel mistero e nella missione della chiesa

 l. La chiesa, sin dall'età apostolica, ha tenuto in grande venerazione l'ordine sacro del diaconato. Ne fa fede l'apostolo Paolo nelle sue lettere. Ai filippesi così scrive: «Paolo e Timoteo, servi di Cristo Gesù, a tutti i santi in Cristo Gesù che sono a Filippi, con i vescovi e i diaconi. Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo» (Fil 1,1-2). Nella Prima lettera a Timoteo, inoltre, offre alcune istruzioni sullo stile di vita dei diaconi e sul discernimento necessario per la loro assunzione nel ministero: «I diaconi siano dignitosi, non doppi nel parlare, non dediti al molto vino né avidi di guadagno disonesto, e conservino il mistero della fede in una coscienza pura. Perciò siano prima sottoposti a una prova e poi, se trovati irreprensibili, siano ammessi al loro servizio. I diaconi non siano sposati che una sola volta, sappiano dirigere bene i propri figli e le proprie famiglie. Coloro infatti che avranno ben servito, si acquisteranno un grado onorifico e una grande sicurezza nella fede in Cristo Gesù» (1Tm 3,8-10.12-13).
Una consolidata tradizione, che si esprime anche in testi antichi e recenti della liturgia di ordinazione, ha visto l'inizio del diaconato nell'episodio dell'istituzione dei «sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito Santo e di saggezza» (At 6,1-6), ai quali gli apostoli affidano l'incarico del servizio quotidiano della carità. (3)
Anche se da un punto di vista dell'interpretazione storica questa identificazione lascia luogo a fondate riserve, il significato che la pagina degli Atti degli apostoli e la tradizione liturgica danno all'episodio illustra in maniera limpida e profonda la logica propria del ministero diaconale: collaborare con il ministero apostolico dei vescovi, nella fedeltà e nella dedizione ai suoi compiti essenziali e insieme nella sollecitudine e nella cura delle contingenze più concrete.
2. La tradizione espressa da numerosi padri della chiesa attesta la diffusione del diaconato in numerose chiese, ne illustra il significato teologico e ne propone la figura spirituale.
Il papa san Clemente I ricorda i diaconi all'interno dell'ordinata costituzione della chiesa voluta da Dio. (4) Sant'Ignazio di Antiochia vede nei diaconi e nella loro disponibilità al vescovo una particolare immagine di Gesù Cristo, del quale esercitano la diaconia: «È necessario che anche i diaconi, i quali sono i ministri dei misteri di Gesù Cristo, riescano in ogni modo di gradimento a tutti. Essi, infatti, non sono diaconi che distribuiscono cibi e bevande, ma ministri della chiesa di Dio». (5) Dei diaconi parla Erma ne Il Pastore, (6) san Giustino nellaPrima apologia, (7) Policarpo nella Lettera ai filippesi. (8) La Tradizione apostolica di Ippolito descrive il rito dell'ordinazione del diacono mediante l'imposizione delle mani da parte del solo vescovo, «poiché non è ordinato per il sacerdozio, ma per il servizio del vescovo, con il compito di eseguirne gli ordini». (9) L'antica e significativa Didascalia degli apostoli raccomanda al diacono una comunione stretta e cordiale con il vescovo: «Egli sia l'orecchio del vescovo, la sua bocca, il suo cuore, la sua anima: due in una sola volontà». (10) Questi antichi scritti, insieme ad altre testimonianze di collezioni canonico-liturgiche, a vari testi dei padri della chiesa e a diversi canoni dei concili (come quelli di Elvira, Arles, Nicea), documentano come il diaconato rimanga fiorente almeno fino al V secolo. Con amore e devozione poi la chiesa ha conservato la memoria di diaconi santi: in particolare san Lorenzo martire, san Vincenzo di Saragozza, sant'Efrem siro, dottore della chiesa.
3. Vicende storiche diverse causarono in seguito una graduale diminuzione dell'importanza e della diffusione del ministero diaconale, sino alla sua quasi totale scomparsa nella chiesa d'occidente. Tra i motivi della minore valorizzazione pastorale e, in seguito, della disaffezione al diaconato, i padri segnalano una certa presunzione da parte di diaconi nel governo della chiesa e nell'amministrazione dei suoi beni: i diaconi tendevano ad affermarsi uguali o superiori ai presbiteri e, talora, a sentirsi perfino indipendenti dal vescovo. (11) Ma al di là di episodi incresciosi, ci sono ragioni più complesse che vanno lette nello sviluppo generale delle condizioni della chiesa e della pastorale. Mentre la chiesa era chiamata dalla sua stessa missione a esprimersi in servizi e in forme pastorali adeguate alle mutazioni storiche, la figura del diacono, mancando della necessaria formazione soprattutto intellettuale, restò vittima di una crescente involuzione, sino a lasciarsi come svuotare. Dell'attività caritativa al posto dei diaconi progressivamente andavano occupandosi monaci o laici abbienti, e fu difficile conservare il legame tra carità e liturgia, al cui delicato equilibrio erano legati una buona coscienza e un buon esercizio del ministero diaconale. Con la richiesta poi di fatto di un celibato che non sempre trovava nel ministero una proporzionata motivazione, il diaconato nella chiesa latina rimase normalmente solo momento di passaggio verso l'ordinazione sacerdotale. Il concilio di Trento nella sessione XXIII del 1563 decretò che esso venisse ripristinato in modo che «le funzioni dei sacri ordini» non apparissero inutili e fossero «esercitate solo da coloro che sono costituiti nei rispettivi ordini». (12) Quanto così deliberato tuttavia non ebbe seguito.
4. Il concilio Vaticano II ripropone la dottrina sul diaconato come ordine sacro nella costituzione dogmatica sulla chiesa Lumen gentium. Dopo aver insegnato che nei vescovi «permane l'ufficio degli apostoli di pascere la chiesa, da esercitarsi ininterrottamente» (LG 20; EV1/333) a partire dalla «pienezza dei sacramento dell'ordine» (LG 21; EV 1/335), il concilio così presenta i loro collaboratori: «Il ministero ecclesiastico di istituzione divina viene esercitato in diversi ordini da quelli che già anticamente sono chiamati vescovi, presbiteri, diaconi» (LG 28; EV 1/354).
«In un grado inferiore della gerarchia - insegna - stanno i diaconi, ai quali sono imposte le mani "non per il sacerdozio ma per il servizio"» (LG 29; EV 1/359). Con questa antica formula che distingue i diaconi dai presbiteri, il concilio invita a comprendere la specificità del ministero dei diaconi. Benché essi non siano chiamati alla presidenza dell'eucaristia, sono segnati dal «carattere» e sostenuti dalla «grazia sacramentale» dell'ordine ricevuto, e chiamati «al servizio del popolo di Dio, in comunione coi vescovo e il suo presbiterio», nella «diaconia della liturgia, della parola e della carità».
5. Il concilio poi decide che anche nella chiesa latina il diaconato possa essere «in futuro restaurato come un grado proprio e permanente della gerarchia» e ne indica una serie di funzioni proprie, derivandole sia dal diritto vigente sia dalla tradizione antica, sia da proposte più recenti, suggerite dalle nuove situazioni pastorali e missionarie. Si esprime inoltre a favore della possibilità che il diaconato sia conferito «a uomini di età matura anche sposati, e così pure a giovani idonei, ferma restando però per questi la legge del celibato» (LG 29; EV11360). Stabilisce infine che spetta alle conferenze episcopali nazionali decidere, con l'approvazione del papa, sull'utilità del ripristino del diaconato nella propria nazione, secondo i bisogni della chiesa.
6. Tra gli interventi del magistero post-conciliare dedicati al diaconato è da ricordare anzitutto il motu proprio Ad pascendum di Paolo VI, nel quale si descrive il diaconato «come ordine intermedio tra i gradi superiori della gerarchia ecclesiastica e il resto del popolo di Dio, ... in qualche modo interprete delle necessità e dei desideri delle comunità cristiane, animatore del servizio, ossia della diaconia della chiesa presso le comunità cristiane locali, segno o sacramento dello stesso Cristo Signore, il quale "non venne per essere servito, ma per servire" (cf. Mt 20,28)».
Rivolgendosi ai partecipanti al convegno dei diaconi permanenti, promosso dalla Conferenza episcopale italiana, Giovanni Paolo II così insegna: «Il diacono nel suo grado personifica Cristo servo del Padre, partecipando alla triplice funzione del sacramento dell'ordine: èmaestro in quanto proclama e illustra la parola di Dio; è santificatore, in quanto amministra il sacramento del battesimo, dell'eucaristia e i sacramentali; è guida, in quanto è animatore di comunità o settori della vita ecclesiale. In tal senso, il diacono contribuisce a fare crescere la chiesa come realtà di comunione, di servizio, di missione». (13)
La Conferenza episcopale italiana, da parte sua, nel documento pastorale Evangelizzazione e ministeri afferma: «Col ripristino del diaconato permanente, la chiesa ha la consapevolezza di accogliere un dono dello Spirito e di immettere così nel vivo tessuto del corpo ecclesiale energie cariche di una grazia peculiare e sacramentale, capaci perciò di maggiore fecondità pastorale. Il diaconato concorre così a costituire la chiesa e a darne un'immagine più completa e più rispondente al disegno di Cristo, e più in grado, per interna e spirituale potenza, di adeguarsi a una società che ha bisogno di fermentazione evangelica e caritativa, nei piccoli gruppi, nei quartieri e nei caseggiati» (n. 60; ECEI 2/2815).
7. La teologia, alla luce e sotto la guida del magistero della chiesa, è oggi in grado di illustrare in termini chiari, anche se bisognosi di approfondimenti che sono da incoraggiarsi, la natura e il significato ecclesiale dei diaconato permanente: dipendente dall'episcopato e ad esso collegato nel contesto della successione apostolica, esso è un grado del sacramento dell'ordine, e, come tale, imprime il carattere e infonde in chi lo riceve una grazia sacramentale specifica.
L'ordinazione sacramentale, proprio in quanto tale, configura secondo una modalità loro specifica i diaconi a Gesù Cristo. Essi sono costituiti nella chiesa come segno vivo di Gesù, Signore e servo di tutti. Sono consacrati e mandati al servizio della comunione ecclesiale, sotto la guida del vescovo con il suo presbiterio. Come il popolo di Dio al quale sono dedicati, i diaconi trovano la loro norma permanente e la loro identità fondamentale nella fedeltà al Vangelo e, illuminati dai segni dello Spirito, vivono e realizzano la loro missione in modalità che variano secondo il contesto storico concreto entro cui essa si svolge.
I diaconi partecipano del servizio ecclesiale secondo la specificità e la misura dell'ordine ricevuto: non sono ordinati per presiedere l'eucaristia e la comunità, ma per sostenere in questa presidenza il vescovo e il presbiterio. (14) Proprio attraverso questa disponibilità essi sono chiamati ad esprimere, secondo la loro grazia specifica, la figura di Gesù Cristo servo, ricordando così anche ai presbiteri e ai vescovi la natura ministeriale del loro sacerdozio, e animando con essi, mediante la Parola, i sacramenti e la testimonianza della carità, quelladiaconia che è vocazione di ogni discepolo di Gesù e parte essenziale del culto spirituale della chiesa.
8. Il ministero diaconale pertanto custodisce e testimonia la disponibilità della chiesa, sia nella sua pastorale ordinaria sia nella sua missione ad gentes, a vivere la dimensione missionaria propria di quel popolo che Dio manda agli uomini nella concretezza della loro storia. E grazie a questa rinnovata coscienza di chiesa che il concilio Vaticano II ha restaurato il diaconato permanente. L'esperienza di questi decenni ha confermato la verità dello stretto legame che esiste tra questa prospettiva ecclesiale e pastorale e la fecondità dell'esercizio del ministero diaconale.
Tale coscienza, radicata e maturata nella fede, invita e sollecita l'intera comunità cristiana, e in particolare i pastori e i membri dei consigli presbiterali e pastorali, a un attento discernimento, nell'ascolto di «ciò che lo Spirito dice alle chiese» (Ap 2,7). Da una parte infatti la grazia del diaconato può condurre a un profondo rinnovamento del tessuto cristiano delle comunità ecclesiali mediante la testimonianza della carità, (15) dall'altra parte, come confermano anche sia l'antica sia la più recente esperienza ecclesiale, sono le varie situazioni in atto nelle chiese a suggerire i diversi modelli di esercizio del ministero diaconale.
9. È questa, in realtà, la lezione più importante che ci viene dall'esperienza di questi primi decenni dal ripristino del ministero diaconale. Il senso del diaconato e il suo esercizio devono essere visti in relazione a una chiesa che cresce nella consapevolezza di essere chiesa missionaria, impegnata in cammini pastorali che, lungi dal ridursi a un'opera di semplice conservazione, si aprono coraggiosamente alle sempre nuove sollecitazioni dello Spirito. Essa è il popolo profetico che annuncia la Parola che salva ed è il segno e lo strumento del Vangelo della carità. In essa ogni servizio dev'essere eco umile e generosa del servizio stesso di Gesù Cristo. In tal modo la chiesa può vincere la tentazione dell'efficientismo e testimoniare il primato irrinunciabile della trasparenza «che non ferma l'attenzione su di sé, ma invita gli uomini a prolungare lo sguardo verso Dio». (16)
Il servizio diaconale contribuisce a far crescere la comunità ecclesiale secondo quella «cultura di comunione» le cui caratteristiche sono state proposte alla chiesa italiana all'inizio degli anni '80. (17) In particolare il diaconato può dare i suoi frutti migliori nel contesto di progetti pastorali improntati a corresponsabilità e nei quali il ministero ordinato sia chiamato ad animare e a guidare, non a sostituire, la vivacità degli impulsi che lo Spirito suscita nel popolo di Dio. In questo senso si può riferire per analogia anche ai diaconi quanto il concilio raccomanda ai presbiteri: «Sapendo discernere quali spiriti abbiano origine da Dio (cf. lGv 4,1), essi devono scoprire con senso di fede i carismi, sia umili che eccelsi, che sotto molteplici forme sono concessi ai laici, devono ammetterli con gioia e fomentarli con diligenza» (Presbiterorum ordinis, n. 9; EV 1/1272).