CEI I DIACONI PERMANENTI NELLA CHIESA IN ITALIA.

ORIENTAMENTI E NORME

II. Il discernimento vocazionale

 
 10. La vocazione al diaconato non è semplice momento di organizzazione dei servizi ecclesiali, ma procede da Dio come avvenimento di grazia, che interpella il singolo soggetto e insieme suppone e domanda un cammino di fede da parte dell'intera comunità. La cura delle vocazioni, infatti, è compito di tutta la chiesa: essa, «costituita nel mondo come comunità dì chiamati, è, a sua volta, strumento della chiamata di Dio, (...) impegnata a favorire, nella diversità delle responsabilità, tutte le vocazioni consacrate». (18)
Questo legame tra il cammino personale e quello ecclesiale chiede di essere particolarmente tenuto presente oggi, mentre il ministero diaconale va prendendo nuova provvidenziale configurazione. Contesto idoneo alle vocazioni al diaconato è, quindi, una chiesa intenta a discernere le vie per le quali oggi il Signore la chiama a sostenere la responsabilità del Vangelo, a vivere e manifestare il mistero della comunione, a tradurre in opere e in istituzioni le premure della carità e i diversi servizi pastorali. Per questi impegni si aprono ai diaconi preziose e interessanti possibilità.
11. Il discernimento della vocazione al diaconato permanente, sia quando questa incomincia a prendere forma come ipotesi, sia nel momento dell'accettazione di un soggetto come aspirante a questo ministero, va condotto con serietà ed è condizione determinante per l'intero cammino di formazione e per l'adeguata impostazione del futuro ministero. Esso, come impegna il soggetto a essere chiaro di fronte alla volontà del Signore ed esigente con se stesso, così chiede alla pastorale diocesana altrettanta chiarezza sull'esistenza di fatto delle condizioni necessarie perché il ministero diaconale possa essere correttamente inserito ed esercitato in essa.
La comunità diocesana, e in particolare quella parrocchiale, non deve essere spettatrice passiva dei vari momenti del cammino al diaconato. Accompagni invece l'ammissione di ogni soggetto tra gli aspiranti con un adeguato cammino di catechesi che, mentre sensibilizza la parrocchia verso questo ministero, sia di grande aiuto per il soggetto nel discernimento e nella formazione. Un simile cammino di catechesi e di sensibilizzazione venga previsto, a tempo debito, anche nelle parrocchie o nelle strutture ecclesiali alle quali il diacono sarà poi inviato.
12. Gli aspiranti siano ordinariamente presentati dal proprio parroco, il quale si farà premura di usufruire delle opportune consultazioni, sentendo, quando occorra, anche i responsabili delle realtà ecclesiali alle quali gli aspiranti appartengono e nelle quali operano.
L'ammissione tra gli aspiranti al diaconato spetta al vescovo, responsabile ultimo del discernimento e della formazione. Egli esercita ordinariamente questa premura tramite un suo delegato; tuttavia non tralascerà di conoscere personalmente quanti si preparano al diaconato.
13. Negli aspiranti sì devono riscontrare la ricchezza delle virtù teologali, lo spirito di preghiera, l'amore alla chiesa e alla sua missione, il possesso delle virtù umane, quali l'equilibrio, la prudenza, il senso di responsabilità e la capacità al dialogo, come pure la salute fisica e la disponibilità di tempo adeguati all'esercizio del ministero (cf. can. 1029).
In particolare, essi devono dimostrare di desiderare il diaconato non per interessi puramente personali o per progetti di singoli gruppi e neppure primariamente per la propria realizzazione, ma per il servizio della chiesa, secondo il piano pastorale della diocesi.
14. Per l'inserimento nel cammino di preparazione al diaconato si deve poter contare non soltanto su una sincera docilità e disponibilità alla collaborazione apostolica e quindi a un servizio organico inserito in una pastorale d'insieme, ma anche sull'esercizio previo di una concreta responsabilità pastorale: in tale esercizio l'aspirante, dando buona prova delle proprie capacità e della propria dedizione, potrà misurare realisticamente la sua intenzione.
15. L'aspirante al diaconato deve essere sollecitato a un discernimento libero e consapevole della propria vocazione, in riferimento sia a ciò che il ministero diaconale è in se stesso, sia al significato che esso viene ad avere nella chiesa particolare e nella situazione storica della chiesa oggi.
Al momento del rito liturgico di ammissione tra i candidati, ciascuno dovrà esprimere chiaramente e per iscritto l'intenzione di impegnarsi per il servizio della chiesa particolare, significando in tal modo l'adesione a un ministero ecclesiale e la piena disponibilità al vescovo (cf. can. 1034, § 1).
16. Il celibato sia una scelta positiva per il Regno, assunta con chiarezza di motivazioni e collocata in una personalità matura e armoniosa.
Chi è già sposato e aspira al diaconato deve coinvolgere la famiglia nelle proprie intenzioni e decisioni. Sono perciò richiesti il consenso della sposa (cf. can. 1031, § 2) e un'esperienza della vita matrimoniale che dimostri e assicuri la stabilità della vita familiare. La famiglia stessa si impegni a collaborare con una generosa testimonianza di vita, anzitutto attraverso la fede della sposa e l'educazione cristiana dei figli.
I vedovi aspiranti al diaconato siano prima informati che, in conformità alla disciplina tradizionale della chiesa, non potranno contrarre nuove nozze. Essi perciò diano prova di solidità umana e spirituale nella loro condizione di vita e sappiano provvedere, o abbiano già provveduto, in modo adeguato alla cura umana e cristiana dei figli, così che non sorgano situazioni conflittuali tra il dovere di padre e gli impegni del futuro ministero. In caso contrario la domanda di ammissione non potrà essere accolta.
17. L'età minima per l'accettazione tra gli aspiranti al diaconato è, per i celibi, di anni ventuno; per i coniugati, di anni trentuno. Si valuti però per questi ultimi l'opportunità, in taluni casi, di un tempo più prolungato di formazione. Nelle singole diocesi si stabilisca un'età massima di ammissione, che normalmente non deve essere oltre i sessant'anni.
Resta fermo però che l'ordinazione potrà avvenire solo dopo il compimento del venticinquesimo anno per i celibi e del trentacinquesimo anno per i coniugati (cf. can. 1031, § 2).
18. Occorre valutare l'attività lavorativa o professionale degli aspiranti per accertarne la pratica conciliabilità sia con gli impegni di formazione sia con l'effettivo esercizio del ministero. Nei casi difficili, che esigono scelte rilevanti, la decisione ultima sulle condizioni da richiedere spetta al vescovo.
19. È necessario verificare che gli aspiranti siano liberi da irregolarità e da impedimenti (cf. cann. 1040-1042).
20. L'itinerario per l'ammissione, della durata di almeno un anno, culmina nel rito liturgico di ammissione tra i candidati all'ordine del diaconato. Per il suo carattere pubblico e solenne e per l'impegno che lega reciprocamente il vescovo, la chiesa e il candidato, il rito sia adeguatamente valorizzato. Anche se il tempo della formazione più specifica continua ad essere periodo di verifica vocazionale, si assumano tra i candidati solo quei soggetti per i quali il discernimento sia già stato compiuto con esito positivo, e la scelta per l'ordinazione sia ritenuta definitiva.
21. Il discernimento vocazionale, compiuto secondo quanto sinora detto, dovrebbe garantire l'esercizio del ministero diaconale in tutto il periodo di vita che seguirà l'ordinazione, salvo le legittime disposizioni della competente autorità circa la cessazione dell'esercizio del ministero.